Contratti pubblici, la mossa del governo
Per i prossimi 3 anni servono 13 miliardi

Contratti pubblici, la mossa del governo Per i prossimi 3 anni servono 13 miliardi
di Luca Cifoni
3 Minuti di Lettura
Domenica 2 Agosto 2015, 12:29 - Ultimo aggiornamento: 4 Agosto, 13:05
ROMA - Nel documento del ministero dell’Economia si parla di «ipotesi meramente tecniche». Ma quelle che così venivano considerate ancora quattro mesi fa si sono ormai trasformate in una necessità concreta: rinnovare i contratti dei dipendenti pubblici, come ha chiesto la Corte costituzionale bocciando la prosecuzione a tempo indeterminato del blocco dei rinnovi inaugurato nel 2011. Sarà questa una delle partite più calde del prossimo mese di settembre, quando dovrà essere messa a punto la legge di Stabilità per il triennio 2016-2018.



GLI IMPEGNI

Le risorse da destinare alla voce contratti si aggiungono a quelle necessarie per disinnescare le clausole di salvaguardia su Iva e altri tributi (in tutto circa 16 miliardi) e ad una serie di altre esigenze che vanno dalla sostituzione delle entrate Iva legate all’inversione contabile (reverse charge) nella grande distribuzione, non ammesse dall’Unione europea, alla cancellazione dell’imposta sull’abitazione principale, alla maggior spesa previdenziale necessaria per garantire il rispetto di un’altra sentenza della Consulta e (forse) per concedere un po’ più di flessibilità in uscita ai lavoratori ultrasessantenni.



E altri soldi ancora sotto forma di investimenti aggiuntivi potrebbero rendersi necessari, qualora il governo ritenga di dare almeno un segnale di attenzione verso le Regioni meridionali dopo l’inquietante analisi contenuta nel Rapporto Svimez.

L’impegno da onorare verso i dipendenti pubblici non è da poco, anche se si presenta più gestibile il primo anno e poi crescente nel tempo. A quantificarlo ci aveva pensato lo stesso ministero dell’Economia nel documento su “Analisi e tendenze della spesa pubblica” presentato lo scorso mese di aprile insieme al Def (Documento di economia e finanza). In quel testo vengono tradizionalmente illustrati anche gli effetti delle cosiddette “politiche invariate” ovvero uno scenario in cui si tenga conto non solo di entrate e spese necessaria a legislazione vigente, ma anche di quelle che deriverebbero dalla prosecuzione di una determinata prassi costante nel corso degli anni.



Nel caso dei contratti pubblici per la verità questa prassi si è interrotta nel 2011, ma viene presa in considerazione lo stesso.



I DETTAGLI

Dunque l’ipotesi - che appunto in quella sede veniva definita «meramente tecnica» - di rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018 comporta un incremento dei “redditi da lavoro dipendente” (così si chiamano nella contabilità pubblica le uscite per le retribuzioni del personale) rispetto alle stime attuali pari a 1,7 miliardi il primo anno, 4,2 il secondo e 6,7 il terzo. Nel 2018 l’aggregato complessivo di spesa supererebbe la soglia dei 172 miliardi (invece dei 166,8 previsti.



IL PERCORSO

In tutto nei tre anni, sommando gli importi che si vanno a cumulare, sono oltre 12,5 miliardi. Il punto è naturalmente come trovare tutti questi soldi. Il lavoro di ricognizione è appena partito e si lega strettamente a quello collegato all’ambizioso progetto di riduzione delle tasse. Per finanziarlo, il governo punta su revisione della spesa, introiti generati dalla maggiore crescita e ampliamento dei margini di flessibilità concessi dall’Unione europea. Sono voci, soprattutto le ultime due, tuttora piuttosto indefinite. In questo contesto è possibile che il governo tenti almeno all’inizio di dare un’interpretazione minimalista dei rinnovi, limitando le risorse disponibili rispetto alle proprie stesse stime. Naturalmente così facendo si scontrerebbe frontalmente con i sindacati, che hanno già manifestato l’altro giorno sotto le finestre di Palazzo Vidoni (sede del ministero della Pubblica amministrazione) per chiedere l’apertura della trattattiva.



La risposta del ministro Madia, che ha invitato ad attendere la legge di Stabilità per l’individuazione delle «risorse disponibili» non suona proprio incoraggiante per i rappresentanti del pubblico impiego.
© RIPRODUZIONE RISERVATA