Renzi-Napolitano, patto siglato
Riforme in cambio di stabilità

Matteo Renzi
Matteo Renzi
di Marco Conti
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Giovedì 12 Dicembre 2013, 08:12 - Ultimo aggiornamento: 16:27
Salire al Colle per incontrare Giorgio Napolitano proprio mentre Enrico Letta inizia alla Camera il discorso per ottenere una nuova fiducia, rappresenta per Matteo Renzi il modo migliore per rassicurare tutti coloro che immaginavano di vedere i fuochi d’artificio un minuto dopo l’ascesa del sindaco di Firenze alla segreteria del Pd. Occorrerà invece attendere non solo il 31 dicembre, ma che il Parlamento consumi sulle riforme una nuova - e non improbabile - stagione inconcludente prima di conoscere quale sarà la reazione del nuovo segretario del Pd.



PATTO

I due, Napolitano e Renzi, hanno su questo punto una comune preoccupazione ed è stato quindi facile convenire - nell’ora di colloquio - sull’esigenza di accelerare il più possibile per concludere questioni sulle quali il Capo dello Stato non ha fatto mancare mai la sua voce. Riforme istituzionali, legge elettorale e costi della politica sono ormai divenuti un evergreen sui quali però Renzi ha detto di «averci messo la faccia» come segretario del Pd e, proprio per questo, è ben deciso a sostenere «un governo che la pensa come me» come l’attuale. L’elenco delle cose da fare, che presto saranno oggetto di un contratto di coalizione, è stato apprezzato dal capo dello Stato che tra i temi «importanti» ha sottolineato quello dell’Europa che ”contiene” il nostro rapporto con Bruxelles e il semestre a presidenza italiana dell’Unione che dovrebbe essere oggetto oggi di un incontro tra Napolitano, Letta e metà governo.



Il neo segretario del Pd, che più volte ha incontrato il Capo dello Stato negli ultimi mesi, conosce bene le preoccupazioni di Napolitano per gli effetti che un nuovo periodo di instabilità avrebbe sulla nostra economia. Ovvie quindi le rassicurazioni sul sostegno al governo, anche se meno scontato è stato il calendario illustrato da Renzi con il tono di colui che non ammette si ripetano le inconcludenze del Senato sulla legge elettorale, i continui insabbiamenti del ddl che dovrebbe sopprimere le province, i rinvii partitocratici al taglio dei finanziamenti pubblici che costringeranno forse il governo ad intervenire. Definire «interlocutorio» il faccia a faccia di ieri, come sostiene qualcuno, rischia di essere quindi riduttivo. Anche perché Renzi lo ha definito con i suoi «un incontro franco e molto costruttivo» al pari del Capo dello Stato.



E’ però anche scontato che per passare da «costruttivo» a concreto occorre la volontà delle forze politiche che sostengono la maggioranza alle quali Napolitano si è raccomandato di «guardare sempre». Resta il fatto che il recinto di Renzi, dentro il quale trovare l’intesa sulle riforme, è più ampio di quello della maggioranza. Al punto che ieri Letta, per sostenere il suo vicepremier Alfano, ha superato se stesso sostenendo che la nascita del Ncd è il fatto «più importante degli ultimi vent’anni». Ed è in questa area che potrebbero sorgere i problemi che ieri mattina lo stesso Renzi non ha taciuto.



Le perplessità centriste al trasloco della legge elettorale dal Senato alla Camera sono per Renzi la conferma della resistenza con la quale un pezzo di maggioranza teme di perdere il proprio potere di interdizione. Un problema, questo, che per Renzi potrebbe diventare l’occasione per far saltare il banco qualora su nessuno di questi temi si sia arrivato a conclusione. Lo scambio tra pacchetto di riforme e frenata sul voto anticipato, di cui il Quirinale si fa in un certo senso garante, impone ora a Renzi una fase di surplace non troppo lunga. «Se a febbraio non abbiamo la legge elettorale è meglio andare a casa tutti e votare», sostiene il renziano Dario Nardella.



ILLUSIONE

Renzi non si fida. Teme il logoramento in una lunga serie di trattative e, soprattutto, che il meccanismo previsto dall’articolo 138 della Costituzione venga usato per spostare in là il voto, per poi affossare le riforme all’ultimo giro di boa. A dare ragione a Renzi ciò che è accaduto negli anni scorsi e che puntualmente si è ripetuto in questo primo scorcio di legislatura nel quale si è messo in essere un meccanismo nuovamente illusorio fatto di tavoli e saggi. Con un reciproco augurio i due si congedati avendo però prima toccato anche il ruolo che potrebbero giocare le motivazioni con le quali la Consulta dovrebbe spiegare la sostanziale abolizione del Porcellum. Renzi continua infatti a pensare che si sia trattato di «un intervento a gamba tesa» che la politica ha permesso grazie alla sua «inconcludenza».