La spinta forte per le riforme
o per le elezioni

Il Premier Matteo Renzi
Il Premier Matteo Renzi
di Stefano Cappellini
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Lunedì 26 Maggio 2014, 10:14 - Ultimo aggiornamento: 28 Maggio, 16:51
​Era pi di mezzo secolo che un partito italiano non superava la soglia del 40 per cento dei voti. Basterebbe questo dato, seppure ancora in bilico tra una proiezione e l’altra, a restituire la portata storica dell’affermazione del Partito democratico di Matteo Renzi alle Europee di ieri. Ma non è l’unica novità.



Mai il principale partito della sinistra italiana, nelle sue varie articolazioni e denominazioni, era andato oltre il terzo dei voti complessivi: inchiodato a un 33/34 per cento che per decenni è sembrato un tetto invalicabile e che Renzi ha invece polverizzato, dimostrandosi il primo leader in grado di attrarre sul Pd consensi trasversali. Mai negli ultimi anni, infine, chi si era presentato alle urne da posizione di governo era stato premiato dagli elettori.



Al contrario, tutti i governi erano sistematicamente usciti con le ossa rotte dal giudizio dei cittadini. Un fenomeno peraltro non solo italiano, tanto che anche stavolta, nella maggior parte dei Paesi che hanno votato per il rinnovo dell’Europarlamento il responso elettorale ha penalizzato, talvolta brutalizzato (è il caso dei socialisti francesi), le forze di governo.

Nonostante anche in Italia si registri una buona affermazione del fronte euroscettico nel suo complesso, gli elettori hanno premiato chi ha cercato di mettere mano ai dossier più urgenti - lavoro, fisco, regole europee - con i limiti imposti dal principio di realtà e senza cedere alle facili sirene dello sfascismo e del disfattismo.



Nel nostro Paese i cento giorni scarsi di Renzi a Palazzo Chigi - pur segnati da difficoltà politiche e da più di un intoppo sulle tappe prefissate per le riforme - sono stati sufficienti a convincere un quota molto elevata di italiani a puntare sul presidente del Consiglio come unica speranza per l’uscita dallo stallo. Un giudizio che, comunque la si pensi su Renzi, appare più che razionale: da una parte la diaspora del vecchio centrodestra berlusconiano, dall’altra l’ultrapopulismo del Movimento 5 Stelle non sembrano offrire soluzioni concrete per il governo del Paese. Si votava per Strasburgo, certo, ma la valenza interna del voto era chiara e infatti proprio gli avversari di Renzi l’avevano sottolineata alla vigilia, nella speranza di usare le urne per dare una spallata al governo.



È andata al contrario. Renzi ha sbaragliato la concorrenza di Grillo, che puntava al sorpasso sul Pd e, a spoglio ancora in corso, è circa quattro punti sotto le percentuali delle ultime politiche. E Grillo aveva pure annunciato che, in caso di sconfitta alle Europee, avrebbe fatto un passo indietro. Forza Italia è invece a distanza siderale ma la coalizione di centrodestra è ben oltre Grillo, il che aiuta Renzi sul fronte della riforma elettorale: a questo punto, dati alla mano, Berlusconi ha tutto l’interesse a blindare l’accordo sottoscritto sull’Italicum (ma se il Pd confermasse alle politiche queste percentuali vincerebbe il premio di maggioranza senza nemmeno passare dal ballottaggio).



Anche gli alleati di governo sono stati cannibalizzati da Renzi. Al punto che ora per il presidente del Consiglio si apre un dilemma opposto a quello prefigurato prima delle elezioni: se prima del voto molti temevano per la stabilità dell’esecutivo, oggi è lo stesso Renzi che potrebbe essere tentato di capitalizzare questo risultato anticipando i tempi del ritorno al voto per le politiche.



Di certo, da oggi avrà un’arma formidabile per incalzare tutti al rispetto dei patti di governo e delle scadenze di calendario: essendo chiaro da quale parte spira il vento nel Paese, Renzi potrà invocare le urne, e facilmente ottenerle, alla prima occasione buona.