Mafia, Dell'Utri condannato a 7 anni
Il senatore: Mangano resta il mio eroe

Marcello Dell'Utri in una foto d'archivio
Marcello Dell'Utri in una foto d'archivio
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Martedì 29 Giugno 2010, 09:41 - Ultimo aggiornamento: 28 Luglio, 23:22
PALERMO (29 giugno) - Il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri stato condannato a sette anni di reclusione dai giudici della seconda sezione della Corte d'Appello di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. In primo grado Dell'Utri - che oggi ha aspettato la sentenza a Milano - era stato condannato a nove anni. La corte, riformando la sentenza di primo grado, ha però assolto Dell'Utri per le condotte contestate in epoca successiva al 1992 perché «il fatto non sussiste», riducendo così la pena da nove a sette anni di reclusione. Il pg Antonino Gatto aveva chiesto la condanna di Dell'Utri a 11 anni di reclusione.



I rapporti con la mafia in sostanza ci sono stati ma il «patto» basato sullo scambio politico no, è la netta linea di confine tracciata dai giudici tra il «prima» e il «dopo» '92 nel processo a Dell'Utri.



Una «sentenza pilatesca», ha commentato il senatore del Pdl. «Hanno dato un contentino alla procura palermitana - ha detto - e una grossa soddisfazione all'imputato, perché hanno escluso tutto ciò che riguarda le ipotesi dal 1992 in poi». «Da imputato posso dire di essere soddisfatto» che le accuse per i fatti dal 1992 sulla trattativa tra Stato e mafia «sono state spazzate via», ha poi aggiunto.



Giudici smentiscono "patto politico". Il «prima» '92 abbraccia tutto il periodo che va dagli anni '70 al 1992 quando Dell'Utri, con la mediazione di Gaetano Cinà, morto tra il processo di primo grado e l'appello, avrebbe avuto rapporti con personaggi di spicco di Cosa nostra come Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Vittorio Mangano poi finito come «stalliere» nella villa di Arcore di Silvio Berlusconi.



Questi rapporti, secondo l'accusa e ora anche secondo i giudici, sono serviti a Dell'Utri per assicurarsi la «protezione» mafiosa alle operazioni finanziarie e imprenditoriali da lui gestite per sè e nell'interesse delle società di Berlusconi. E in cambio i boss hanno trovato la strada aperta verso i salotti buoni della finanza milanese e nazionale. Trovano dunque riscontro le ricostruzioni basate sull'apporto dei primi pentiti, da Francesco Di Carlo a Francesco Marino Mannoia, che hanno delineato un quadro «datato» dei rapporti tra il senatore del Pdl e Cosa nostra che si ferma appunto al 1992.



Sul «dopo» la corte si è nettamente distaccata dalla linea dell'accusa sostenuta dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza. Proprio questo tema era il capitolo più significativo e più attuale del processo perchè prendeva in considerazione l'ipotesi di un «patto» scellerato tra mafia e politica. Ed è anche la

parte della vicenda giudiziaria che prendeva in esame, in una prospettiva molto opaca, il ruolo svolto da Silvio Berlusconi dopo la sua «discesa in campo». Oggetto del «patto» sarebbe stato uno scambio: sostegno elettorale agli uomini di Forza Italia - Dell'Utri compreso - come corrispettivo di una linea di governo e di scelte legislative «benevole» nei confronti della mafia.



Nella rappresentazione che ne ha fatto Spatuzza, il «patto» sarebbe nato nel 1994 quando Cosa nostra rinunciò a inseguire il progetto di un impegno politico diretto attraverso le bandiere di «Sicilia libera» e decise di appoggiare il movimento di Berlusconi. La vittoria elettorale del 1994 avrebbe sancito l'accordo con piena soddisfazione della mafia. Nell'interrogatorio in aula a Torino del 4 dicembre 2009 Spatuzza ha citato in proposito un colloquio con il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano. Nel gennaio del 1994, qualche mese prima delle elezioni politiche, in un bar di Roma Graviano gli avrebbe detto: «Abbiamo ottenuto quello che volevamo: abbiamo il Paese in mano. Stavolta non sono quei "crastazzi" dei socialisti, ma quello di Canale 5 (Berlusconi, ndr) e il nostro compaesano Dell'Utri».



La difesa del senatore ha sempre contestato la credibilità di Spatuzza e Dell'Utri ha sprezzantemente liquidato le dichiarazioni dell'ultimo collaboratore ammesso in aula come

tante «minchiate». Il processo non ha potuto neppure valutare l'affinità delle tesi di Spatuzza con quelle di Massimo Ciancimino che non è stato ammesso perché il suo racconto, desunto dai verbali prodotti dal pg Antonio Gatto, è stato ritenuto «contraddittorio» e frutto di informazioni di seconda e

di terza mano. Il dato più significativo della sentenza, che ferma le responsabilità di Dell'Utri e i suoi rapporti con la mafia al 1992, non è ora costituito solo dal giudizio di inattendibilità per Spatuzza (o, come dice il pg Gatto, di «mancato riscontro»). Per questa via la sentenza afferma infatti un principio ancora più rilevante. E cioè che il «patto» politico non c'è mai stato.



La sentenza è stata pronunciata dopo sei giorni di camera di consiglio. Il collegio presieduto da Claudio Dall'Acqua, a latere Salvatore Barresi e Sergio La Commare, è rimasto riunito in camera di consiglio da giovedì scorso.



I giudici hanno anche condannato Dell'Utri al pagamento delle spese sostenute dal Comune e dalla provincia di Palermo che «si liquidano per ciascuna di esse in complessivi sette mila euro». La corte ha inoltre indicato in 90 giorni il termine per il deposito della sentenza.



«Vedremo quali sono le motivazioni. Sono stupito. In pratica le cose dette da Spatuzza e l'intero impianto accusatorio che pure era ben piantato su questo punto non è stato preso nella giusta considerazione», ha detto il pg Gatto. «Non è vero tra l'altro - ha aggiunto - che Filippo Graviano ha smentito Gaspare Spatuzza, anzi ha confermato alcuni episodi. Invece Giuseppe Graviano stava male e non ha voluto rispondere. Bisogna capire perchè la corte ha deciso di eliminare la "stagione politica" da questo processo. In ogni caso sono sempre possibili ulteriori indagini. Non voglio pensare alla prescrizione, non ci ho mai pensato. La difesa valuterà se esistono i termini».



Dell'Utri ribadisce: Mangano un eroe. Lo aveva detto in passato e lo ha ripetuto oggi: «Vittorio Mangano è stato il mio eroe». In una confrenza stampa a Milano dopo la condanna, Dell'Utri ha citato anche i fratelli Karamazov, quando Andrej viene presentato come un furfante ma eroe. «Era una persona in carcere, ammalata - ha detto - invitata più volte a parlare di Berlusconi e di me e si è sempre rifiutato di farlo. Se si fosse inventato qualsiasi cosa gli avrebbero creduto. Ma ha preferito stare in carcere, morire, che accusare ingiustamente. È stato il mio eroe. Io non so se avrei resistito a quello a cui ha resistito lui».



«Cercherò il procuratore Gatto e gli farò le condoglianze», ha poi detto scherzando Dell'Utri.



Dell'Utri spera poi nel giro di un anno in una sentenza per lui positiva da parte della Cassazione. «Spero che dicano: "ma che stiamo facendo, lasciate stare"». Il senatore del Pdl ha spiegato che si aspettava una sentenza di questo tipo. Se fosse arrivata l'assoluzione «avrei detto - ha

aggiunto - che la pena l'ho già scontata: 15 anni di pena. Io non somatizzo, ma il disagio c'è».



«C'è stata una vera campagna di stampa tale da condizionare la Corte. Non si è mai vista una Corte fare un comunicato stampa», ha detto l'avvocato Pietro Federico, uno dei legali di Dell'Utri. «Prima di valutare i termini della eventuale prescrizione, ricorreremo in Cassazione», ha aggiunto Federico. I fatti precedenti al 1992, per i quali dell'Utri è stato condannato, potrebbero infatti rientrare nella prescrizione.



«Con questa sentenza si mette una pietra tombale sulla presunta trattativa tra Stato e mafia durante il periodo delle stragi. Quello che ha detto Spatuzza non è stato evidentemente preso in considerazione come voleva l'accusa», ha commentato invece l'avvocato Nino Mormino, altro legale del senatore Pdl, sottolineando che la corte ha assolto il suo assistito per le condotte contestate in epoca successiva al 1992, escludendo cioè qualunque «patto» tra lo Stato e Cosa Nostra subito dopo le stragi.
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