Fiducia, risultato in bilico alla Camera
Berlusconi propone un patto ai moderati

Berlusconi con Letta e Gasparri (foto Giglia-Schiavella / Ansa)
Berlusconi con Letta e Gasparri (foto Giglia-Schiavella / Ansa)
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Lunedì 13 Dicembre 2010, 09:24 - Ultimo aggiornamento: 12 Gennaio, 00:03
ROMA (13 dicembre) - Un nuovo patto di legislatura, con tanto di rafforzamento della squadra di governo e con un programma rinnovato. l'offerta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi a tutti i moderati alla vigila del giorno della resa dei conti in Parlamento.



«Lasci prima del voto e ci asteniamo al Senato o uniti per sfiducia e poi governo con altra personalità di centrodestra», è stata l'ultima offerta di Gianfranco Fini al premier, con cui è riuscito a ricompattare suoi deputati. Ma non a convincere il Cavaliere: «Basta, niente diktat, non mi dimetto», la dura replica del premier. No del leader Udc Pier Ferdinando Casini alla proposta di Berlusconi. Mercoledì alla Camera decideranno quindi un pugno di voti.



Si va alla conta insomma muro contro muro e saranno decisivi un pugno di voti: incerti, astenuti, deputate in maternità. «È tardi, domani mattina vediamo i numeri al Senato e alla Camera», ha detto il leader della Lega Umberto Bossi, che ha respinto anche lui l'ultima proposta avanzata da Fli. «Il governo ce la farà, ce la farà», è la previsione del Senatur.



Le "colombe", dunque, hanno fallito. Nessuna mediazione tra Berlusconi e Fini, di nuovo vicini nell'Aula di Montecitorio ma mai così distanti al termine di una convulsa giornata di trattative. La prima offerta è del Cavaliere, che nel suo discorso al Senato gioca la carta dell'allargamento della maggioranza ai centristi. E tende la mano ai finiani: «Qualunque critica è possibile, ma non la rottura del campo dei moderati. Tutto è possibile, ma non un'alleanza con la sinistra, non sommando grottescamente i voti del Pdl a quelli del Pd e dell'Idv».



Nella replica alla Camera dopo il dibattito sulla fiducia Silvio Berlusconi rinnova l'appello a Fli a non schierarsi con il centrosinistra perché «tutto si può fare - sostiene - tranne che progettare un'alleanza con la sinistra per questa legislatura camuffandola con il governo di transizione». Un appello a quel «senso di responsabilità verso il Paese» che per il premier dovrebbe imporre ai finiani di «rinnovare la fiducia al governo» così da evitare la «follia» di una crisi al buio «priva di soluzioni» e, con la crisi economica ancora all'orizzonte, pericolosa per il Paese.



Il leader dei futuristi ascolta l'intervento dell'ormai avversario dal suo ufficio di presidente della Camera. Trentuno minuti chiuso al primo piano di Montecitorio, al termine dei quali si precipita nello studio di Silvano Moffa, finiano moderato che minaccia l'astensione dopo la bocciatura della mediazione che aveva promosso con altri cinque deputati di Fli e dieci del Pdl. Per la terza carica dello Stato è l'inizio di una girandola di incontri. Uno dopo l'altro entrano nel suo studio Francesco Rutelli, Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa, i leader insieme

a lui di quel Terzo Polo che chiede a Berlusconi di fare un passo indietro. Poi è la volta di Andrea Ronchi, Adolfo Urso e Giuseppe Consolo, suoi fedelissimi, che iniziano una estenuante trattativa con Moffa e 'company'. Pensa all'astensione anche Maria Grazia Siliquini, delusa per la scarsa consultazione all'interno del nuovo movimento, e la certezza di avere i numeri per ribaltare Berlusconi alla Camera si fanno di ora in ora meno granitiche, mentre i deputati di tutti gli schieramenti iniziano ad affollare il Transatlantico.



E, quando alla Camera inizia il dibattito, ecco il colpo di reni di Fini, abile a mettere i suoi d'accordo su un estremo tentativo di mediazione. La proposta, recapitata di persona a Berlusconi da Urso e Moffa, prevede che i finiani si astengano al Senato, così da permettere al premier di incassare la fiducia a Palazzo Madama. Subito dopo, però, il Cavaliere si deve dimettere, presentandosi al Colle per un reincarico che a quel punto avrebbe la benedizione dei finiani. Prendere o lasciare, perché in caso contrario i futuristi voterebbero compatti la sfiducia.



Non bisogna però attendere molto per capire che anche questa trattativa è destinata a fallire sul

nascere. «Io non mi dimetto, basta diktat», è la risposta del premier, che va avanti per la sua strada. Perché, come dice concludendo il suo intervento a Montecitorio, «il popolo italiano, quando verrà il momento, saprà valutare con buon senso meriti e responsabilità di ognuno». Fiducia ampia o elezioni, governo di continuità o urne anticipate, è invece la richiesta di Umberto Bossi.



Le trattative, intanto, proseguono. C'è tempo fino a domani mattina e Berlusconi si augura che «la notte porti consiglio» ai finiani. Che intanto si riuniscono a cena, assente l'incerta Siliquini. «Attendiamo risposte», dicono mentre si riuniscono anche i deputati del Pdl. Ma l'ultima parola è quella di Bossi, che li gela. «I finiani - sostiene - arrivano tardi...».



Casini: si dimetta o è ipocrita. «Se Berlusconi ha a cuore la riunificazione dei moderati, vada a dimettersi prima del voto alla Camera altrimenti i suoi sono soltanto dei propositi ipocriti», dice il leader dell'Udc a Sky. Per Casini il discorso del premier Berlusconi è stato «credibile» ma per esserlo davvero «mancava un pezzo fondamentale. Chiudendo avrebbe dovuto dire: “per queste ragioni mi vado a dimettere”. Se fosse davvero credibile basterebbe il suo appello alla responsabilità senza dover ricorrere alla vergognosa compravendita a cui stiamo assistendo. Un voto in più a Berlusconi non serve per governare, ma per andare al voto. Lo hanno capito anche in bambini... Se Berlusconi si dimette ha la possibilità concreta di chiedere un governo di responsabilità. Non sarà una crisi al buio. Piuttosto, se non si dimette, è un governo al buio».



Bersani: pura irresponsabilità. Se il governo otterà domani alla Camera una fiducia risicata, il Paese si ritroverà «con un governicchio e solo la pura irresponsabilità e l'ego smisurato di Berlusconi lo portano a non voler prendere atto di questa realtà - dice il segretario del Pd -. Nell'intervento di questa mattina non abbiamo sentito nulla di nuovo. Un po' di bastone e un po' di carota e quello che colpisce è che, ancora una volta, in tutto quello che dice Berlusconi non c'è un barlume di consapevolezza dei problemi del Paese. Forse continua a pesare più la compravendita che la sua retorica. È sempre più evidente che l'interesse del Paese sarebbe formalizzare la crisi e dare vita a un governo di responsabilità istituzionale, di transizione». «Da domani in ogni caso questo governo finisce. Non garantisce e non può garantire più stabilità al paese. Non abbiamo paura delle elezioni perché dopo 16 anni questo paese non ne più», ha poi aggiunto Bersani.



Il discorso di Berlusconi dimostra che il «premier se la fa sotto dalla paura, perché se non dovesse rimanere presidente del Consiglio dovrebbe andare alla procura di Milano e non più a Montecitorio», ha detto il leadr Idv Antonio Di Pietro. «E qualsiasi cosa accada - aggiunge il leader dell'Idv - ormai è certificato il fallimento della maggioranza».




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