Marchigiani dispersi in Nepal
Solo silenzio dal villaggio fantasma

Da sinistra Giovanni 'Nanni' Pizzorni, Oskar Piazza e Giuseppe Antonini
Da sinistra Giovanni 'Nanni' Pizzorni, Oskar Piazza e Giuseppe Antonini
di Lorenzo Sconocchini e Claudio Comirato
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Lunedì 27 Aprile 2015, 09:42 - Ultimo aggiornamento: 15:51
ANCONA - Erano in un villaggio che non esiste più, come la Longarone del Vajont di 52 anni fa.



Erano nel paradiso del trekking, trasfigurato in inferno da un terremoto apocalittico, capace di scatenare valanghe che hanno sepolto di terra e detriti le case e gli orti di Langtang. Erano in quel villaggio del Nepal, dove si ammira lo spettacolo delle cime himalayane, due speleologi anconetani che ora risultano ufficialmente dispersi alla Farnesina.







Giuseppe Antonini, 53 anni, per tutti Pino, uno che già a 13 anni scendeva nelle grotte di Frasassi, era partito il 15 aprile scorso con la dottoressa Gigliola Mancinelli, 50 anni, medico rianimatore in servizio al Cardiologico Lancisi e al 118, anch’essa tecnico speleologo. Partecipavano a una spedizione di canyoning, la discesa a piedi di strette gole e torrenti, insieme ad altri due italiani, Oskar Piazza, specialista del Soccorso alpino del Trentino Alto Adige, e il genovese Giovanni “Nanni” Pizzorni, 52 anni, esperto torrentista.







Il telefono satellitare di Pino Antonini, un apparecchio che dovrebbe garantire le comunicazioni anche in condizioni estreme, è muto da sabato mattina, irraggiungibile. Ogni telefonata a vuoto, è un colpo al cuore di parenti e amici. Mezz’ora prima della scossa devastante delle 11 e 31 locali (quando in Italia erano da poco passate le 8) Pino Antonini s’era sentito con il fratello Roberto, anch’egli speleologo.



Aveva raccontato che la sera prima aveva piovuto molto e sperava in un miglioramento delle condizioni meteo per scendere a valle e continuare la spedizione, mirata all'apertura di percorsi tra i canyon in una zona particolarmente impervia. Quel silenzio che dura ormai da due giorni alimenta l’angoscia dei familiari e degli amici dei quattro speleologi dispersi. Perché il villaggio di Lantang, dalle testimonianze che arrivano dal Nepal, praticamente non c’è più, sommerso da un mare di terra franata a valle che ha inghiottito abitazioni, stalle e terreni coltivati, uccidendo centinaia di persone.



Ma i colleghi degli speleologi anconetani e dei loro compagni d’avventura non disperano. Confidano che questo blackout prolungato sia dovuto soltanto a motivi tecnici, in una zona dove le comunicazioni sono difficilissime.



E contano nella grande esperienza di tutti i partecipanti alla spedizione. Pino Antonini, che è anche tecnico di elisoccorso al 118, è uno dei più preparati speleologi italiani, capace nel 2010 di calarsi a meno 2.191 metri per esplorare nel Caucaso la grotta più profonda del mondo. Gigliola Mancinelli partecipò due anni fa al salvataggio di speleonauti prigionieri in una grotta in Germania. “Sono espertissimi e questo ci dà speranza, potrebbero avere solo difficoltà con il cellulare”, confidava ieri sera Paola Riccio, presidente del Soccorso Alpino delle Marche.



Si spera ancora in un colpo di fortuna, in una zona devastata dal terremoto. Si spera che Pino, Gigliola, Nanni e Oskar siano vivi, magari bloccati in qualche canyon, senza il loro prezioso telefonino. Isolati dal mondo ma vivi.
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